Facciamo una premessa prima di cominciare questo articolo (breve, non preoccupatevi, anche a me annoiano le premesse, ma questa va fatta).
I giochi indie NON sono automaticamente giochi belli.
L’esplosione di questa tipologia di videogiochi ha fatto diventare tutti hipster.
Un giorno, persone raccomandabili e con una vita normale si sono svegliate con la barba lunghissima, una sciarpa alla Fellini impossibile da togliere dal collo e un paio di occhiali da 3000 euro, anch’essi non rimovibili.
I giochi indie hanno provocato questa trasformazione: dalla loro diffusione in poi, gamer che della narrativa e del lato artistico dei giochi se ne erano sempre sbattuti i maroni hanno cominciato a fare gli intellettuali manco si fossero reincarnati in Pier Paolo Pasolini.
I giochi indie brutti esistono! Indie non significa diverso da ciò che piace alla massa e, quindi, più bello e basta. Chi lo pensa mente sapendo di mentire… e sapendo di non capire un c***o di videogiochi.
Questo articolo non sarà quindi un’apologia dei videogiochi indipendenti, ma una semplice e, come tutto ciò che scrivo, poco lucida analisi del perché i giochi indie siano in molti casi una droga.
Giochi indie: per non finire sotto i ponti
Qual è l’annoso problema di noi gamer? Quale pensiero fisso occupa la mente di un videogiocatore che ha l’ardire di voler provare un po’ tutto?
I soldi, quel maledetto e sfuggevole denaro!
Non ci sono mai soldi per comprare le nuove uscite (solo questo ottobre usciranno Assassin’s Creed: Origins, L’ombra della guerra, The Evil Within 2 e Wolfenstein II). D’altronde si approssima l’inverno e andare a dormire sotto un ponte non sarebbe un colpo di genio.
I giochi indie ci vengono in soccorso. Ovvio, se si è squattrinati all’ennesima potenza, pure per comprare un indie si sarebbe costretti a vendere su eBay un parente che ci sta sulle balle.
Ma un conto è dover racimolare il prezzo di un tripla A al day one, un altro è raccogliere dal fondo del portafoglio gli spiccioli che ci permetterebbero di mettere le mani su un indie che a prezzo pieno costa massimo 20 euro (se lo sviluppatore è un disgraziato maledetto).
“Eh, ma tu i giochi li vuoi al day one? Sei un viziato, gne gne!”. Ma vai a ca**re!
Non sono un viziato, non compro un gioco al day one da Deus Ex: Mankind Divided e, prima di questo, ricordo solo un Mad Max preso al lancio e poco altro.
È indubbio che i tripla A costino parecchio anche mesi dopo la loro uscita, ci sono titoli il cui prezzo non si abbassa mai! MAI!
Inoltre, prima che un povero cristo riesca a recuperare tutto ciò che si è perso per mancanza di denaro, ne escono altri venti, tra cui capitoli ordinari e spin off proprio del titolo che tanto avrebbe voluto al day one e non ha potuto acquistare.
E così accade che, mentre gli altri giocano il quarto capitolo, tu sei ancora al secondo. Allora l’ansia sale, i titoli in uscita ti sommergono, guardi la tua wishlist e non puoi fare altro che pensare di essere un mentecatto… quindi scoppi a piangere.
Tra l’altro, con gli sconti in digitale del PSN o con i saldi Steam, spesso i giochi indie vengono messi a prezzi irrisori e puoi far finta di essere il Briatore dei gamer.
Giochi indie: non pesano una mazza
Un altro motivo per cui si inizia a giocare con titoli indie e non si riesce più a smettere è che quasi non ci si accorge di averli salvati nella propria libreria Steam o sull’hard disk della Playstation 4.
I giochi indie pesano davvero poco e per scaricarli basta un attimo anche con le connessioni italiane che fanno più schifo del genere umano.
I tripla A in versione fisica non hanno bisogno di molto tempo per essere utilizzati, ma se scaricati dallo Store ti fanno desiderare di essere frustato e colpito sulle parti più intime con una bottiglia, tipo Tafazzi.
Pochi giorni fa, ho scaricato Just Cause 3 dallo Store perché molto scontato, neanche 10 euro, (ok, non vi interessa la mia esperienza personale, ma l’articolo è mio e quindi scrivo quello che mi pare).
Il peso del gioco di Avalanche Studio era di 40 GB.
Dopo aver concluso il download mi sono ritrovato sposato con tre figli. Scherzo, per fare tre figli bisogna fare sesso, chi ce l’ha il tempo?!
L’indie più pesante è già tanto se supera i 10 GB.
Tempo prezioso guadagnato e spazio in più sulla console.
Lo spazio, d’altronde, è un po’ lo stesso problema che avevamo da adolescenti con i porno.
Oggi ci sono Pornhub e Youporn che permettono di non intasare il PC.
Stesso discorso per gli indie e i vari store.
Collezionismo? Pfff…
Questo punto si ricollega a quello precedente. “Eh, ma è bello avere tutto fisico. Una collezione digitale toglie tutto ciò che c’è di romantico”.

La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto ventotto anni è che non posso più perdere tempo a parlare coi cacacazzo
Carissimi, come Jep Gambardella che non aveva più voglia di fare cose che non gli andava di fare, io posso dire di non avere più voglia di cercare il romanticismo nelle cose.
Bisogna essere pratici e soprattutto rendersi conto di ciò che ci sta attorno.
Mi dite come cacchio faccio ad avere una collezione fisica se a malapena riesco a entrare in casa mia senza dover buttare fuori a calci mio fratello?
Non c’è spazio! Come ve lo devo dire?
Il collezionismo “romantico” è per quelli che guardano i tramonti e si emozionano, è per quelli che piangono alla vista della rugiada… stronzate, il collezionismo è per coloro che hanno una vrangata di soldi da potersi permettere una stanza solo per i videogiochi.
Si inizia a giocarli e non ci si ferma più perché i giochi indie sono democratici.
Che tu abiti in una casa delle bambole o nella villa di Scarface, gli indie sono sempre accessibili.
Non danno fastidio e non ti costringono a fare lo slalom gigante nella tua stanza.
Nemmeno ti obbligano a mettere i guanti di paraffina per la paura di sporcarli o, peggio, graffiarli.
Così, oltre allo spazio, al tempo e ai soldi, i giochi indie salvano anche le coronarie.
Giochi indie: brevi ma intensi
C’è lo studio, c’è il lavoro, c’è la fidanzata, tutte cose che distolgono l’attenzione da altre ben più importanti, ovvero i videogiochi.
Purtroppo, però, la vita sociale dicono sia importante per l’esistenza di una persona.
Io non ci ho mai creduto, ma i giochi indie mettono d’accordo tutti anche su questo.
Questi videogiochi infatti, in media, non durano una sega (non volevo fare il doppiosenso onanistico, ma devo dire che è divertente), quindi sono perfetti per partite veloci ma intense, perché spesso affrontano in poche ore temi molto importanti.

The Order 1886. Gioco meraviglioso, ma dura uno sputo.
Sto parlando di media, eh.
Lo so che anche i tripla A degli ultimi anni non sono stati sempre lunghissimi, anzi, alcuni hanno delle campagne in singolo che sono una vera e propria presa per il culo.
Come esistono d’altronde giochi indie dalla buonissima longevità e dalla spiccata rigiocabilità.
In linea di massima, un videogioco indie dura quanto la parmigiana in un pranzo domenicale a Foggia.
Ci sono anche casi di giochi che possono essere finiti in un pomeriggio.
Questo è un fattore fondamentale anche per chi non ha un lavoro, non studia e non ha la fidanzata, insomma, anche per chi non fa un cazzo.
Non fare niente dalla mattina alla sera è faticoso e occupa molto più tempo di quanto si possa immaginare.
Un conto è non fare un membro (non posso dire sempre la parola con la C) giocando a un RPG complesso e molto lungo, un altro paio di maniche è non fare un cetriolo giocando a un indie che si finisce bevendo un’aranciata e leggendo l’oroscopo di Paolo Fox.
Giochi indie: quando cominci non ti fermi più…
… perché tra di essi ci sono titoli eccezionali che non possono essere evitati da chi dice di essere un amante dei videogiochi.
Faccio un piccolo elenco? Lo faccio? Lo volete? Lo desiderate? Non c’ho voglia.
Ne cito qualcuno, va’, perché la serata la devo sfangare e la televisione è occupata da mia madre.
Chi è in grado di intendere e di volere non può non giocare a Hotline Miami (1 e 2), l’apoteosi della cazzutaggine.
Una trama che si snoda tra Guerra Fredda, bande criminali, mafia russa che #metalgearsolidlevatedetorno.
Dei tizi che indossano maschere da maiale, gallo, pantegana marchigiana e chi più ne ha più ne metta che se ne vanno in giro a trucidare a colpi di fucile a pompa chiunque gli si pari davanti con in sottofondo musica elettronica/metal/techno? Madonna benedetta dell’incoronata.
Ci sono livelli che ti fanno diventare più cattivo di Albert Fish e Vittorio Sgarbi messi insieme.
Il livello ambientato nella sala giochi con in sottofondo Musikk per Automatikk di Elliott Berlin mi ha fatto capire che se avessi l’opportunità sterminerei ogni essere vivente sulla faccia della terra.
Vogliamo parlare di The Vanishing of Ethan Carter? Altro gioco indie da eiaculazione istantanea.
Più calmo, più “raffinato”, tutt’altro genere rispetto al gioco precedente.
Una trama che a un occhio poco allenato potrebbe sembrare una copia del Sesto scemo di Maccio Capatonda, con un bambino sfigato e un detective dal nome improponibile che cerca di aiutarlo.
In realtà, la narrativa di The Vanishing of Ethan Carter fa impallidire tutti quelli del suo genere.
Il plot twist finale, però, ti fa desiderare di dare calci in bocca agli sviluppatori.

Inside.
Vogliamo parlare di Inside o di Limbo?
Della stessa software house indipendente, Playdead, queste due perle rappresentano gli esempi più fulgidi del perché una volta iniziato a giocare ai giochi indie poi non ci si ferma più.
Uno attinge a piene mani dalla letteratura distopica (Orwell chiiii?), l’altro dal Romanticismo nero e dalle fiabe che non hanno un lieto fine… aspettate.
L’articolo stava prendendo una piega ironica e adesso mi metto a citare Orwell e il Romanticismo nero? Vedete? I giochi indie ti fanno diventare un hipster o un intellettuale da quattro soldi.
Di indie è meglio non parlare, è meglio giocarli e goderseli appieno!
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